Il concetto di piccolo comune

a cura dell’UR Università Politecnica delle Marche

Piccolo è un aggettivo qualificativo, da declinare nello spazio, nel tempo e nella specifica problematica esaminata. Bisogna infatti definire rispetto a chi, in quale epoca e quale parametro si utilizza l’aggettivo piccolo. Non sembra quindi opportuno continuare ad adottare la corrente metodologia, che tende a delimitare i confini del PC in base a soglie dimensionali assolute.

In ambito amministrativo la definizione di PC attualmente più diffusa è quella riportata nel disegno di legge approvato dalla Camera dei Deputati il 18 aprile 2007 (“Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni”) secondo la quale: “Per piccoli comuni si intendono i comuni con popolazione pari o inferiore a 5000 abitanti”. Già nel 2003 l’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) utilizzava tale criterio, classificando come “piccoli” i comuni con popolazione inferiore o uguale a 5000 abitanti, pari al 72% dei comuni italiani.

Questa definizione appare fortemente riduttiva se si considera la grande eterogeneità dei caratteri demografici, economici e sociali dei comuni italiani e infatti, ad esempio, in una pubblicazione della Regione Marche (“I piccoli comuni delle Marche”) il discrimine viene spostato da 5000 a 3000 residenti.

L’utilizzo di una soglia dimensionale univoca non permette di individuare i reali confini di un universo eterogeneo e complesso, in cui convivono periferie urbane e realtà isolate, aree industriali e località marginali. Tale contesto richiede una metodologia che sostituisca le rigide e discrezionali soglie assolute con valori elastici e differenziati per i vari ambiti territoriali, determinati prendendo in considerazione qualificazioni ulteriori rispetto al numero di abitanti.

La presente ricerca abbandona quindi la scelta a priori della sola dimensione demografica e cerca di individuare i PC in modo induttivo, partendo da dati empirici oggettivi e provenienti da fonti ufficiali, prontamente reperibili e riproducibili, in modo da assicurare facili comparazioni e tempestivi aggiornamenti. A tal fine sono stati utilizzati dati censuari.

La metodologia proposta poggia su una pluralità di indicatori di diversa natura, che rispecchia le varie dimensioni in cui si può declinare l’aggettivo piccolo. La consistenza demografica rappresenta la principale discriminante ma vengono considerati (come suggerito dalla legge del 2007 sopra citata) anche elementi territoriali, ambientali, economici e sociali.

L’aggettivo piccolo va inoltre esaminato nel tempo e nello spazio. L’ottica diacronica viene soddisfatta tramite l’inserimento delle variazioni nel periodo 2001-2011 mentre l’aspetto spaziale è approfondito attraverso lo studio delle 6 regioni cui fanno riferimento le Unità di Ricerca del Progetto, tutte accomunate da una forte presenza di PC. La regione sembra il contesto più opportuno in cui condurre, distintamente, la classifica dimensionale dei comuni. L’ambito regionale permette di eliminare opinabili scelte di altri aggregati territoriali e allo stesso tempo consente di tener conto delle diverse legislazioni amministrative, realtà storiche e peculiarità geografiche delle varie aree.

Nell’indagine svolta sono state prese in considerazione le seguenti variabili:

  • Popolazione residente al censimento del 2011;
  • Numero di famiglie residenti al censimento del 2011;
  • Numero di abitazioni al censimento del 2011;
  • Variazione percentuale 2001-2011 della popolazione residente;
  • Variazione percentuale 2001-2011 delle famiglie residenti;
  • Densità demografica al censimento del 2011.
LA CLASSIFICAZIONE DEI COMUNI NELLE REGIONI OGGETTO DI STUDIO:

Per ogni regione i comuni sono stati suddivisi nei seguenti 6 gruppi. I casi studio sono stati scelti sulla base di criteri quantitativi e qualitativi tra i comuni di fascia 1,2 e 3

  • gruppo 1: comuni piccolissimi
  • gruppo 2: comuni piccoli
  • gruppo 3: comuni medio piccoli
  • gruppo 4: comuni medi
  • gruppo 5: comuni medio grandi
  • gruppo 6: comuni grandi

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